Arte e terapia della psiche

di Nicola Ghezzani

Freud e la psicoanalisi

È stato uno dei meriti della psicoanalisi sin dalle sue origini l'aver segnalato la forte attinenza fra la nevrosi e le fantasie: sia le fantasie impulsive sepolte nell'inconscio che le fantasie mimetiche funzionali a nascondere — e insieme rivelare — la presenza delle prime. Era impossibile, infatti, diceva Freud sin dal 1899, ossia dall'Interpretazione dei sogni, censurare qualcosa senza tradirne al contempo l'esistenza.

Freud, a dire il vero, non era il primo a mostrare la relazione esistente fra la salute mentale e la creatività (lo aveva fatto in modo acuto e raffinato anche William James). Fu il primo tuttavia a stabilire il significato funzionale di questo rapporto: nella sua teoria la creatività sorge allo scopo di tradurre (“sublimare”) in un'opera d'ingegno condivisibile quella che è la trasgressione fondamentale: la pulsione edipica, ossia l'odio per il padre, che condensa in se stesso l'odio per la vita umana associata, impregnata di rinuncia e di fatica, e il desiderio per la madre, ossia di una soddisfazione immediata di ogni desiderio. In tutte le sue opere sulla creatività Freud ripete questa tesi: l'insistenza del tema edipico — la colpa di amare la madre contro il potere del padre — si trasforma nella visione più o meno ossessiva di una eversione nel campo dei valori, delle forme, della scoperta scientifica. La fantasia mette in scena questa trasgressione, rendendola comunicabile, e perciò innocua. L'opera creativa vale dunque una catarsi.

Sin dalle prime sue opere, dunque, Freud aveva segnalato il rapporto esistente fra l'immaginazione dell'artista e il materiale rimosso della psiche.

Nietzsche, Jung, Groddeck e gli altri

Sulla scia di Freud, Jung volle osare ancora di più e individuare un rapporto “profetico” fra l'artista e le produzioni immaginarie, archetipiche, di tutta l'umanità. Georg Groddeck a sua volta, in virtù della sua passione filosofica per Friederich Nietzsche, immaginò il rapporto fra creatività e psiche in termini più vicini alla concezione contemporanea dell'arte, e suppose che l'arte fosse l'espressione di un Es (un soggetto inconscio) irrequieto e ribelle alle convenzioni sociali. Per Winnicott, invece, la fantasia è quella formazione illusionale (quel gioco della mente) attraverso la quale il soggetto si rende possibile il passaggio da una fase a un'altra della vita, la transizione da uno stato dell'io a un altro, quindi la trasformazione evolutiva, come dell'io così dell'intera società.

Questo per citare solo alcune delle riflessioni psicoanalitiche sull'arte.

A loro volta molti artisti fruirono in modo diretto o indiretto degli strumenti concettuali messi loro a disposizione dalla psicologia psicoanalitica: da Hermann Hesse a Thomas e Henirich Mann, da Max Ernst a René Magritte, da Federico Fellini a Ingmar Bergman, da Luis Buñuel a Salvador Dalí, da Georges Bataille ad Antonin Artaud, da Alberto Moravia e Carlo Emilio Gadda fino a Elsa Morante, Andrea Zanzotto, Dacia Maraini, Dario Argento o Stephen King. Ispirandosi a un complesso intreccio di influenze reciproche, la psicologia ha sempre corteggiato l'arte, nell'intuizione — mai del tutto ammessa — che l'artista produttivo disponga di una “terapia” in molti casi più efficace dello stesso strumento psicoterapeutico, per il semplice fatto che la psicoterapia talvolta fallisce, talaltra guarisce al prezzo di una opprimente “normalizzazione”. L'artista, invece, ha un'intuizione diretta dell'inconscio, anche se talvolta ne è a tal punto travolto da esserne più vittima che interprete efficace.

L'arteterapia

Esiste dunque un rapporto fra la nevrosi (la sofferenza psichica nelle sue molteplici manifestazioni) e la creatività. Un rapporto in un senso: la creatività — secondo Freud, Jung, Groddeck o Winnicott — è un impulso umano irriducibile, composto di fantasia e di desiderio, che sta alla base della psicopatologia. E nell'altro: poiché la creatività sta alla base della sofferenza mentale, la creatività può anche risolverla. Tutto sta nel vedere in che senso la creatività è parte della patogenesi e in che senso può esser parte della terapia.

Da qui, sulla base di complesse e interessanti esperienze di ibridismo culturale, è nata nel corso degli ultimi decenni una nuova disciplina: l'arte-terapia.

Sono molti anni che l'arte è stata associata alla psicoterapia fino a giungere alla creazione dell'arteterapia. L'arteterapia è una disciplina che si va imponendo come uno fra i metodi più originali di conoscenza e cura della psiche. Come sempre accade con le idee forti e innovative, l'arteterapia è andata incontro a sviluppi molteplici, alcuni banali e deludenti, altri invece pregni di interesse e molto stimolanti.

Va notato che un gran numero di psicologi e psichiatri, sentendosi offesi e persino minacciati da questa novità, hanno espresso su di essa giudizi molto severi. Sovente se ne parla e se ne scrive come di una disciplina confusa e cialtronesca. Simili giudizi mi hanno sempre lasciato molto perplesso. Dopo averci riflettuto a lungo, sono giunto alla conclusione che gran parte dei giudizi ostili che molti professionisti esprimono nei confronti delle “terapie non convenzionali” (arteterapia, autoterapia, counseling, psicofilosofia, mutuo aiuto, per fare alcuni esempi) dipendano dal bisogno che essi hanno di tutelare in senso corporativo il metodo che li rappresenta e li promuove ai livelli alti della gerarchia sociale, economica e mediatica. Essi occupano posizioni di rendita, basate su poche tecniche apprese e rese operative su larga scala e su presupposti teorici elementari (per esempio, la riduzione della psiche alla dimensione genetica o al mero apprendimento cognitivo). Quindi, non hanno alcun interesse, né economico né intellettuale, ad aprirsi a nuovi stimoli e nuove concettualità. Sono, dunque, solo i professionisti più gretti e corporativi quelli suscettibili di sentirsi offesi e minacciati dalle novità.

La creatività artistica è una opzione che nulla toglie all'importanza della psicoterapia e anzi, se ben indirizzata, può trasmettere utili informazioni sulla qualità profonda dell'esistenza individuale e sulla psiche in generale.

Urge, dunque, approfondire il livello della riflessione.

Pregi e rischi della creatività

Che il processo della creazione artistica abbia virtù terapeutiche è un dato di fatto incerto e contestabile. Talvolta esso può rivelarsi persino pericoloso. La creazione artistica avviene, infatti, perlopiù secondo modalità impulsive, talvolta improvvisate e comunque senza il controllo di persone esperte dei rischi patologici della psiche.

La potenziale pericolosità dell'uso dell'arte come mezzo di contatto con la psiche dipende dal fatto che, a differenza della psicoterapia, la quale viene somministrata da un soggetto a un altro (da uno psicoterapeuta — o una équipe di psicoterapeuti — a uno o più pazienti), il processo artistico avviene di solito in totale solitudine. Ciò, se da un lato comporta un contatto profondo e veritiero con la propria vita interiore, dall'altro espone il soggetto all'impatto drammatico coi propri vissuti e ricordi, con le fantasie e i desideri.

Il processo artistico, dunque, in virtù del suo potere di smuovere la trama profonda della psiche, si rivela come una situazione più rischiosa di quanto in genere, con una certa ingenuità, si preferisca credere. (La prova di ciò è nell'evidenza storica: molti artisti hanno avuto personalità disturbate o del tutto malate; molti sono finiti male, alcuni si sono suicidati). Nondimeno, il confronto fra esperienza artistica e psicoterapia mostra quanto la prima sia più libera da pudori censori o da ideologie normalizzanti rispetto alla seconda; evidenziando in tal modo come essa possa essere utile al fine di raggiungere un più pieno e diretto contatto con le proprie personali verità.

Va notato che proprio questo carattere intimo e veritiero fa sì che la creazione artistica sia, per alcuni, preferibile alla stessa psicoterapia. Da qui anche la recente espansione dell'arteterapia e di altre tecniche psico-espressive.

La possibilità di creare in solitudine e comunque secondo un presupposto di totale libertà fa sì che mentre la psicoterapia classica risulta talvolta paralizzante in quanto suscettibile di indurre dipendenza (e sta all'abilità e all'onestà del terapeuta esperto focalizzare e risolvere tale dinamica), la creazione artistica al contrario espone sempre il soggetto ad una radicale e inquietante autonomia.

Nel corso della creazione immaginaria il soggetto è solo con se stesso, sfida i suoi fantasmi a farsi avanti, a mostrarsi in piena luce, e alla fine non solo egli deve averli resi domestici, ma deve aver conferito loro il compito di comunicare al mondo sociale sia le ragioni che stanno alla base della propria individualità che lo stesso processo dinamico della maturazione personale.

Il processo artistico rimette all'opera il fondamento conflittuale dell'identità, la storia (il dramma) del proprio io, la forma compromissoria del proprio equilibrio, e va alla ricerca di un equilibrio formale e psicologico più aderente ai propri bisogni fondamentali.

La prova artistica matura, dunque, offre al suo interno la visione dei demoni dell'animo personale dell'artista, la loro trasformazione in oggetti di comunicazioni interpersonale, nonché il processo attraverso il quale l'artista è giunto a dominare il suo materiale interno.

Questo è il motivo per cui l'arte può essere utilizzata per conoscere e guarire la psiche propria e altrui. Ed è anche il motivo per cui val la pena studiare e disciplinare il processo artistico, rendendolo un evento consapevole, perché possa essere utilizzato in modo funzionale al progresso psicologico piuttosto che rivelarsi incontrollato e dannoso.

Un esempio personale. Una direzione di ricerca

Faccio un esempio personale. Dopo aver scritto e pubblicato il mio Autoterapia. Guarire la propria psiche con strumenti personali (Franco Angeli, 2005), mi sono accorto di aver io stesso attraversato nel corso della stesura del libro un processo creativo di natura letteraria e filosofica attraverso il quale ho rimesso in gioco alcuni dei punti fermi della mia vita (i miei “significanti identitari”), per esempio il mio rapporto con la psicoterapia e la cultura psicologica, modificandoli alla radice. L'uomo che io ero quando cominciai a scrivere quel libro non era più lo stesso al momento in cui lo ebbi terminato. Il processo creativo mi aveva trasformato.

Il processo creativo (sia artistico che filosofico) ha questa straordinaria potenzialità: di costringerci a guardare al fondo di noi stessi, fino a individuare, definire e modellare i momenti traumatici e le soluzioni compensative che hanno contribuito ad essere ciò che siamo.

È questa riflessione che mi ha spinto a fondare l'ASIP. Lo spazio che l'ASIP e questo sito dedicano al rapporto fra talento, arte e malessere e all'arteterapia in tutte le sue manifestazioni (dalla scrittura letteraria a quella autobiografica, dalla pittura — la cromoterapia — fino alla musica e alla drammatizzazione teatrale e ad altre espressioni ancora…) ha sia lo scopo di studiare la relazione che intercorre fra talento e malessere, sia di sollecitare esperienze tecniche di terapia mediante quella stessa funzione creativa che può essere alla base della patologia.

Si tratta, in sintesi, di accrescere la conoscenza pragmatica e teorica delle esperienze spontanee di problematizzazione, conoscenza, trasformazione e guarigione di sé attuata con l'esercizio delle varie attività riflessive di oggettivazione della psiche.

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