Imre Hermann — Psicoanalisi come metodo

recensione a cura di Nicola Ghezzani e Elda Cellini


Edizioni Dedalo, Bari, 1990.
(Recensione pubblicata su “Gruppo e funzione analitica”, 3, 1990)

La recensione che segue fu scritta a quattro mani con mia moglie Elda, che mi aveva introdotto nel gruppo della “scuola” bioniana di Roma. Era il 1990, avevo avviato da un anno la mia seconda analisi e desideravo instaurare un “colloquio” con la cultura psicoanalitica “ortodossa”. Al di là dello studio puntuale del testo di Imre Hermann recensito (un testo piuttosto “tecnico”, in verità datato), l’articolo che qui riporto merita una attenzione “storica” per due fattori. Innanzitutto, in esso si rendono evidenti alcuni riferimenti culturali della Psicoterapia dialettica, in particolare Sàndor Ferenczi, maestro di Hermann, e René Spitz, John Bowlby, Margaret Mahler. In secondo luogo, si tenta di descrivere alla cultura psicoanalitica la dialettica dei bisogni. Quest’ultima è solo accennata, ma con una certa chiarezza, nel finale, laddove scriviamo:

La nozione di istinto di aggrappamento è potenzialmente più ricca del campo delimitato dall’interazione madre-figlio, in quanto si presta ad essere interpretata come forma a priori dello sviluppo psicobiologico. L’eccesso etologico (un “biomorfismo”, in fondo) rischia di appiattire una intuizione di portata più vasta: l’aggrappamento è l’emergenza ontogenetica di una più vasta tendenza al legame interpersonale?

E inoltre: lo scarto fra primati e uomo non è dato forse dall’apparizione della coscienza, in funzione della quale la separazione, nonché traumatica, è viceversa necessaria in quanto connessa all’appropriazione dell’identità?

Era il 1990 e i libri della teoria dialettica erano ancora da venire. Farne cenno in pubblico in una recensione era già un modo per farla uscire dalla clandestinità.

Ecco il testo.
Buona lettura.

La vita e l’opera di Imre Hermann costituiscono un vero proprio paradosso in seno alla storia della psicoanalisi. Egli appartenne alla schiera eterogenea degli allievi di Sàndor Ferenczi, alcuni dei quali si raccolsero nella cosiddetta “Scuola di Budapest”. Il suo destino, come anche quello della sua opera, fu paradossale perché trascinato da una deriva storica che egli non poté in alcun modo contrastare, ma all’interno della quale si inserì in modo originale.

La scuola di Budapest, infatti, di derivazione direttamente mitteleuropea, rimase isolata dal contesto occidentale della storia della psicoanalisi durante i periodi bui dell’antisemitismo nazista e dell’isolazionismo comunista; si concentrò pertanto su se stessa ad opera dei pochi psicoanalisti che rifiutando l’emigrazione rimasero in patria.

Imre Hermann fu uno di questi, e la sua originalità teorica deriva almeno in parte dall’insieme di questi eventi. Nella sua isola geografica e culturale, l’“eremita di Buda” (come lo definì Nicolas Abraham) andò elaborando un insieme teorico contrassegnato da accurati studi di biologia, paleontologia ed etnologia con forte anticipo rispetto ad una impostazione culturale simile che sortirà più tardi dall’opera di Bowlby e di M. Mahler.

La sua opera principale, “L’istinto filiale”, comparve in Ungheria nel ’43; come era prevedibile essa si inabissò nel gorgo della guerra e rimase in ombra nel periodo comunista; poi riapparve, dopo ben trent’anni di oblio, a Parigi nel 1973 e in Italia, con Feltrinelli, nel 1974. Da quel momento data la riscoperta di Hermann e il ripercorrimento dei contributi che egli ha fornito alla storia della psicoanalisi.

L’originalità dell’opera hermanniana consiste nel suo perpetuo sconfinamento nel dominio della biologia e, più ancora, dell’etologia dei primati. È da questo sconfinamento che deriva il suo rinnovamento della concezione dell’istinto. L’istinto trova la sua base materiale nel fatto che presuppone degli organi, un oggetto specifico ed uno schema comportamentale che connette gli uni all’altro. L’istinto di aggrappamento — che nell’ipotesi di Hermann è lo schema centrale — presuppone mani per aggrapparsi, una peluria come oggetto specifico e un comportamento fissato filogeneticamente. Lo stesso complesso edipico viene interpretato alla luce di questa ipotesi, nel senso cioè di una ricerca regressiva lungo la gerarchia dell’unità duale madre-figlio. La frustrazione istintuale provoca sempre una tendenza regressiva lungo la gerarchia degli istinti ed una riattivazione dinamica dell’istinto di aggrappamento, primario rispetto agli altri. La situazione del transfert analitico rifletterebbe pertanto del riattivarsi di questo schema, a scapito di ogni altro istinto vitale.

Il libro “Psicoanalisi come metodo” è stato scritto nel ’33 e ampliato nel ’63. Esso pertanto riflette ancora embrionalmente della teoria che Hermann svilupperà più diffusamente in seguito.

La prima parte di questo libro è dedicata alla definizione della situazione analitica ed, in particolare, alla regola delle libere associazioni che secondo l’autore è sempre stata trattata con troppa semplificazione. Ripercorrendo tutta una sequenza storica di autori che si sono occupati, con studi e ricerche, di fenomeni legati all’associazione di idee, tra i quali ricordiamo lo scrittore Borne e il neurofisiologo J. Muller, Hermann giunge a definire l’assetto ottimale del paziente per una proficua emersione e, quindi, elaborazione dei contenuti inconsci. La libera associazione non va intesa, secondo l’autore, come semplice fuga di idee, come il dispiegarsi del pensiero sciolto da ogni vincolo, ma come uno stato di rilassamento auto-osservante; il paziente deve lasciarsi andare, ma nello stesso tempo andare in cerca di qualcosa. Il continuo oscillare dell’attenzione vigile al suo successivo scivolare dal materiale prefissato è considerato, quindi, l’assetto ottimale sia per il paziente, sia per l’analista,

“in quanto rispecchia il modo di funzionare dell’inconscio stesso. L’inconscio infatti, a differenza dell’Io, non conosce percorsi diretti, che portino allo scopo senza esitazioni e con continuità: l’Io va praticamente diretto allo scopo utilizzando l’attenzione, nell’inconscio invece questa funzione non esiste: c’è al suo posto una funzione di direzionalità ‘sghemba’.”

Ci preme sottolineare, in questa sede, l’importanza che Hermann attribuisce allo stato di rilassamento, che assimilato allo stato di pre-sonno, favorisce la regressione al periodo infantile e di conseguenza all’istinto di aggrappamento:

“L’istinto di aggrappamento — il primo desiderio insoddisfatto del piccolo d’uomo — può senz’altro riemergere regressivamente nel sonno o in altri stati ad esso somiglianti.”
(pag. 48)

Le associazioni provenienti dall’assetto regressivo dell’analisi si presentano come “flussi” continui che però non proseguono in modo lineare (come suppone la psicologia associazionistica) ma seguono dei percorsi “curvi e tortuosi”. Il movimento curvo delle associazioni deriverebbe dal fatto che molteplici fili partendo da un’idea toccano numerose esperienze della persona e, intrecciandosi fra di loro, sono attratti dalla vorticosità di una pulsione. Il flusso associativo, dunque, seguito nei nessi di senso, manifesta l’apparire fenomenologico e simbolico della pulsione. Da questo punto l’analista dovrà inferire il supporto biologico che alimenta questo flusso associativo.

In analisi il paziente manifesta la sua sofferenza innanzitutto nei termini di una inibizione nella soddisfazione delle tendenze pulsionali. Sarà dunque compito dell’analista riuscire a reperire nella situazione del rapporto transferale e del materiale associativo che il paziente presenta il punto di emergenza della pulsione e il motivo della sua rimozione. Il compito è reso possibile dalla peculiare topologia del paziente: egli infatti si presenta in analisi con una scissione della personalità fra tendenze anti-istintuali (fissate al livello del Super-Io) e vortice pulsionale (rimosso nell’area dell’Es).

Posto che il paziente ha organizzato la sua personalità nel senso difensivo della tendenza anti-istintuale, sia il flusso associativo che la dinamica del transfert, in quanto luoghi di apparizione dell’Es, presenteranno una topologia vorticosa: essi, infatti, sono i rappresentanti simbolici e di ripetizione di una regressione istintuale che ha come attrattore centrale l’istinto primario dell’aggrappamento. L’analisi diviene così una sorta di viaggio a ritroso lungo le tappe e i traumi connessi alla psicogenesi della personalità, che hanno prodotto nel soggetto la reazione anti-istintuale e simmetricamente hanno costruito l’istinto nella forma di un vortice che attrae captativamente l’Io. A causa di una seduzione subita, per esempio, il soggetto si allontana difensivamente dall’unità duale e rimuove del tutto la pulsione di aggrappamento (il bisogno di legarsi a qualcuno); ma nel contempo, dalle profondità dell’Es, la pulsione rimossa intensifica il suo potere latente di attrazione.

L’analista, dunque, ripercorrendo a ritroso il percorso traumatico delle scissioni consente al paziente di situare il proprio Io in una posizione che medi e dialettizzi la tendenza anti-istintuale col vortice pulsionale. L’Io, cioè, deve apprendere a navigare come Ulisse fra Scilla e Cariddi, senza cedere alla captazione né dell’uno né dell’altro, risolvendo così la tensione conflittuale.

La concezione hermanniana, che come si vede è molto originale, ha avuto il merito di aprire il campo di ricerca sull’interazione madre-figlio, indicando la via a Spitz, Bowlby e M. Mahler.

Ha inoltre suggerito a Lacan il concetto di captazione immaginaria come prodotto della prematurazione. Tuttavia la nozione di istinto di aggrappamento è potenzialmente più ricca del campo delimitato dall’interazione madre-figlio, in quanto si presta ad essere interpretata come forma a priori dello sviluppo psicobiologico. L’eccesso etologico (un “biomorfismo”, in fondo) rischia di appiattire una intuizione di portata più vasta: l’aggrappamento è l’emergenza ontogenetica di una più vasta tendenza al legame interpersonale?

E inoltre: lo scarto fra primati e uomo non è dato forse dall’apparizione della coscienza, in funzione della quale la separazione, nonché traumatica, è viceversa necessaria in quanto connessa all’appropriazione dell’identità?

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